Una storia come tante

Di Diana Macchitella *

Giulia aveva appena posato la cornetta ed era veramente arrabbiata, questa volta Marco aveva superato sé stesso con la prosopopea di chi si crede invincibile…Giulia si trovava in una brutta situazione, si sentiva sola, il lavoro stava diventando sempre più pesante, la casa sempre più abbandonata, la vita sempre più vuota. Marco non riusciva a riempire quella solitudine perché era intento a vivere la sua vita con gli amici, la sua auto, la squadra del cuore e le istanze di soccorso che Giulia gli inviava erano sempre meno ascoltate. Era sicuro di sé, dell’amore di Giulia, del fatto che ormai tutto era dato per scontato e non si dava la pena di ascoltare quello che c’era nel cuore della ragazza.Giulia aveva lasciato la sua casa, i suoi genitori per avventurarsi, giovanissima, nella vita lavorativa, aveva vinto, dopo la laurea, un concorso in una grande azienda che l’aveva assunta immediatamente e si era insediata alla scrivania dell’ufficio in un giorno piovoso ed umido nella grande città. Aveva lasciato il lago, le passeggiate nella bruma autunnale, la sua camera, i suoi tanti amici animali che erano presenti nella villa dei suoi genitori e con cui era cresciuta. Aveva lasciato tutto con la morte nel cuore, ma sapeva di aver superato una grande prova e di non poter rinunciare al posto guadagnato, era troppo importante per poterlo rifiutare…Aveva incontrato Marco in un pub, in centro, in compagnia di colleghi amici che glielo avevano presentato, un ragazzo estroverso e brillante dalla parlantina sciolta, con mille interessi che ora si rivelavano troppi!Era carino ed entusiasta della vita, l’aveva trascinata in un vortice di amicizie e, quando avevano deciso di vivere insieme, lei lo aveva accolto con gioia in casa sua, un appartamentino piccolo, ma carino. Aveva cominciato a fare sogni, ad arredare quella che sarebbe diventata la loro casa, a dedicarsi ai libri di cucina, lei che si era interessata solo ai libri da studiare.Si era buttata nell’avventura con entusiasmo, nonostante i suoi, al telefono e nelle rare visite, l’avessero avvertita dei pericoli di una tale situazione. Giulia viveva la vita a grandi morsi, all’inizio non aveva percepito quei vuoti che ora si facevano più insistenti, no, riusciva a tenere il passo con i tanti divertimenti che colmavano il dopo lavoro, ma aveva cominciato a sentire il bisogno di fermarsi, di riflettere, di un posto solo per sé stessa e si accorgeva ora che quel posto non c’era né in casa né fuori.Marco la travolgeva con la sua irruenza ed anche con la sua superficialità, troppo interesse verso le amicizie del pub, della squadra, troppo interesse fuori casa e coppia. Non per gelosia, no, Giulia non aveva di questi problemi, ma per incompatibilità di sentimenti stava allontanandosi sempre più da Marco, ogni giorno la conversazione era più fiacca, verteva su argomenti generici, i loro problemi ed interessi stavano prendendo due strade divergenti.Giulia si svegliava al mattino stanca ed annoiata, nonostante sapesse che la giornata sarebbe stata piena di impegni, nonostante amasse il suo lavoro. A volte chiusa in bagno, divenuto un rifugio, le scendevano le lacrime dagli occhi, per una vago dolore che ancora non comprendeva, si stava facendo strada nel suo animo la nostalgia di casa, della sua camera, dei suoi amici pelosi che le tenevano compagnia notte e giorno con la loro presenza discreta nella grande villa. Aveva avuto un imprinting, Giulia, chiamiamolo così, alla Lorenz, un sistema di vita semplice e ricco nello stesso tempo, fatto di cultura e di natura, di biblioteca paterna e di fiori in giardino, di concerti e di uccellini al risveglio mattutino che non poteva dimenticare facilmente e di cui cominciava ad avere grande nostalgia. La sua adolescenza era stata bella, anche se era stata educata con molta disciplina, cosa che le aveva permesso di affrontare seriamente studi pesanti. Ora sentiva di aver in gran parte rinunciato a sé stessa per far piacere a Marco, aveva rinunciato alla sua vera identità per assumere quella di ragazza moderna ed un po’ spregiudicata dall’alto dei suoi guadagni e del fatto che vivesse ormai indipendente. C’era un sottile dispiacere nel suo animo che ogni giorno si faceva sempre un po’ più di strada dentro di lei e rosicchiava le sue certezze.L’inverno ormai si era impadronito della città con il suo gelo, Giulia pensò bene di comperare della legna per accendere il camino che aveva in soggiorno e godersi una serata in pace con l’ultimo libro acquistato. Se Marco voleva uscire, poteva farlo, ma lei sarebbe rimasta a casa, era stanca ed aveva bisogno di tranquillità come quando era bambina, nei momenti in cui la mamma o la tata le stavano accanto e le leggevano le favole più belle. Ma Marco le fece al telefono la consueta scenata, doveva uscire, avevano appuntamento con il gruppo di amici per una serata al circolo! Un’ altra lunga notte che cominciava alle 23 e finiva alla luce del giorno successivo! E lei aveva bisogno di riposo, stava scivolando in una stanchezza infinita!Le aveva telefonato dall’ufficio:"Vestiti, che ti vengo a prendere!" ma lei, questa volta era decisa: sarebbe rimasta a casa accanto la fuoco con il suo libro! Basta con quell’errare da un locale all’altro con i soliti discorsi, il solito pettegolare…Fu a notte tarda, al rientro di Marco, che avvenne la litigata. Lui era tornato nervosissimo, aveva sbattuto a terra il libro di Giulia, accusandola di essere invecchiata, di non avere più speranze, di essere destinata alla solitudine e lei aveva buttato fuori tutto l’amaro che aveva accumulato…aveva pianto, aveva urlato in faccia a Marco il suo dolore e lui aveva preso le sue cose e se ne era andato!Dopo una notte in cui aveva intriso il cuscino di lacrime, la ragazza si era fatta una ragione del fatto che le cose stavano veramente andando male e che un rapporto del genere non poteva più andare avanti. Aveva il cuore spezzato, ma doveva alzarsi ed andare al lavoro, con la faccia serena, ben vestita, pronta alle istanze dei clienti.Fu molto faticosa tutta la giornata fino a sera, ma, al rientro in casa, capì che non aveva altre scelte, era meglio essere sola piuttosto che sola con un’altra persona così diversa da lei.Il libro l’attendeva fedele, parlò al telefono con casa, ma non accennò a niente, fece sentire una voce tranquilla per non destare preoccupazioni ed in silenzio si ritirò sotto al piumino per un sonno ristoratore.Passarono i giorni, Marco non si fece sentire, era troppo convinto di avere ragione piena e Giulia pian piano riprese la sua vita fatta di giornate in ufficio e libri divorati la sera accanto al fuoco. Le mancava però una presenza viva, le mancava chi la aspettasse al rientro, gioioso, chi le desse dimostrazioni di affetto senza chiedere.Le notti erano sempre più buie, il vento soffiava feroce il gelo sulla terra, Natale si avvicinava a grandi passi ed il cuore di Giulia si riempiva di dolce nostalgia per le sere della sua infanzia.Quella notte sentì fischiare la tramontana, si alzò, accostò il viso ai vetri della finestra e vide che iniziava il nevischio portato dalle montagne fino a lì.Stava pensando agli uccellini nel freddo, con le piume arruffate, quando sentì un rumore lontano, flebile, quasi il pianto di un bambino…tese l’orecchio, ma non udì più nulla…poi, ancora quel pianto…si tese tutta a capire cosa fosse; adesso era chiaro, un miagolio tenue nel vento.Da dove veniva? Guardò nel buio, guardò il prato sotto casa, era bianco e brillava alla fioca luce dei lampioni. Ancora quel suono, fece in fretta a vestirsi, si buttò il piumino sul pigiama, mise gli scarponcelli sui piedi nudi e scese nella notte…Tendeva l’orecchio per capire da dove venisse il miagolio sommesso e lo sentì chiaro e forte: qualcuno nel giardinetto minuscolo aveva gettato un gattino, piccolo, piccolo, infante, staccato con prepotenza dalla mamma…chissà, forse qualcuno che non aveva gradito un dono o forse qualcuno che si era liberato del piccolo senza pensare che era una creatura vivente. Lo cercò nell’oscurità e lo vide, esile, magro, sporco che piangeva disperatamente dal freddo e dalla fame, avrebbe avuto bisogno della mamma!Lo prese, lo accolse sotto al piumino e, correndo, salì le scale fino a casa, quella casa calda e vuota che ora risuonava del pianto di un piccino.Lo scaldò con una borsa dell’acqua calda, lo pulì alla meglio e gli dette il resto del brodo di pollo che aveva mangiato per cena, era tiepido, lo scaldò un attimo nel microonde ed il piccolo lo lappò golosamente…L’indomani avrebbe telefonato ad un suo amico veterinario per avere un aiuto e per sapere le prime cose da fare per allevare quell’esserino minuscolo.Se lo strinse al petto, lui le leccò le lacrime tremante, ma già riscaldato, con il pelo asciutto e lo sguardo più vivo… lei seppe in quel momento che sarebbe vissuto e soprattutto che sarebbe vissuto con lei! Aveva trovato un amico nella notte, un amico che non le avrebbe chiesto altro che amore e che l’avrebbe aspettata alla fine di una dura giornata di lavoro e le avrebbe fatto festa…Già le campane annunciavano al mondo la nascita del Bimbo Divino, se ne era dimenticata, era la notte di Natale! Nel suo dolore non aveva più contato i giorni. Il telefono squillò, come sempre prestissimo nel mattino, la mamma la cercava per gli auguri e fu allora che riuscì a dire."Sono felice!"La voce le uscì dal petto sicura ed annunciò ai genitori che aveva trovato un vero amico e che nei giorni seguenti, festivi, sarebbe andata a trovarli e lo avrebbe portato con sé…Aveva ritrovato il calore della famiglia, la serenità di un affetto e soprattutto aveva potuto dire con animo sereno: "Buon Natale!"

Diana Macchitella

07/12/2007

* Diana è risultata vincitrice del concorso "I Corti di Carta Illustrati" con "La Gattina e la Bambina", libro che potete trovare nelle fumetterie italiane e in altri punti vendita in tutta Italia.

 
 
 
 
 
Cookie Policy
Privacy Policy